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Creature di pietra

Un intervista di Pepa Sparti, caporedattore di Prometeo, 2002

I Greci dicevano che la meraviglia è l'inizio del sapere e allorché cessiamo di meravigliarci corriamo il rischio di cessare di sapere.

"Oggi nessuno vuole più avventurarsi, come farebbe uno scienziato, in qualcosa in cui non ha confidenza.... Più vado avanti e più tendo a stabilirmi in una zona onirica del racconto che riguarda soprattutto la condizione umana sul pianeta terra, insieme a tutti gli altri esseri..." "Fondamentalmente aspiro alla poesia perché può accompagnarti ma non essere invasiva e accecante: facilita la mia propensione a sussurrare piuttosto che gridare... La figura, dopo secoli, ha la capacità di dare alla persona una confidenza con il soggetto e una gentilezza dell'espressione che mi fa sentire meno intrusivo..."
Questo e altri "pensieri sparsi" fin dall'inizio dl un colloquio nel suo studio di Pietrasanta con lo scultore Emanuele De Reggi - intento a preparare i lavori per una mostra che si terrà a New York (nel marzo del 2002) - sono indicativi della personalità e delle inclinazioni culturali di Un artista dai tratti complessi, caratterizzati da una sua naturale "distinzione", quella che Proust definì "l'arte infinitamente variegata di segnare le distanze". D'altra parte la sua biografia è segnata da un itinerario altrettanto singolare che versatile: dieci anni in giro per il mondo ("mi sembrava assurdo non sperimentare ‘l'incanto della vita’ avendo a disposizione un grande pianeta; toccare con mano realtà diverse, cercare un nuovo punto d’osservazione...se mai ne avessi trovato uno al di fuori del mio giardino ") prima di tornare in Italia e stabilirsi nel piccolo centro toscano (una sorta di “Mecca della scultura” dove le complicate tecniche vengono facilitate dalla reperibilità dei materiali ed esperti artigiani), dove ha intrapreso il suo noviziato andando a ‘scuola’: “sentivo la pulsione verso la scultura ma non avevo le basi, volevo entrare in uno studio e non nel limbo di un Accademia , per cui ho lavorato per tre anni la bottega di Giulio Ciniglia”.

Lo studio di
Pietrasanta

Così egli definisce ora la sua opera: “Racconto attraverso la scultura perché ho una grande passione per la materia. Certamente la pietra non dà la libertà del lapis, ma è l'unica che ha un'anima talmente forte per cui lo scambio di sensazioni giustifica l'atto scultoreo. Sono legato alle pietre organiche; mi piacciono le pietre calde come i travertini iraniani,le pietre calcaree, anche se riesco a lavorare tanti materiali con altrettanta passione. L’ultima passione si stà celebrando con il ferro, dove il calore della fusione delle varie parti non finisce di incantarmi. Una scultura a cui sto lavorando, un erma, è fatta con una pietra calcarea spagnola e al suo interno avrà un pesce di un marmo che viene dal Brasile , la pietra più ostile del pianeta ( la più abrasiva , perche' contiene molto silicio: và lavorata solo con utensili diamantati e per far venir fuori tutte le venature azzurre,viene lucidata addirittura con spugne diamantate)”. Ricorda di aver iniziato a scolpire in Australia su delle grandissime radici di legno: si trattava di scultura figurata. "La plastica l'ho acquistata molti anni dopo - aggiunge - quando il mio maestro Giulio Ciniglia mi insegnò a costruire le fondamenta che servono a uno scultore: tirar su le cose col gesso, modellare, 'entrare', cioè non aver paura del vuoto dentro, perché scolpire significa "togliere" e se un artista di fronte a una pietra, non ha il coraggio di determinare il "cavo" - quello che poi darà l'ombra -è come se la scultura mancasse di forza e di determinazione. Mi ha anche insegnato a vedere le cose come un volume e non solo come un concetto: oltre a essere un angelo una scultura è una forma in sé, è un triangolo un rombo ecc. Mio nonno, Emanuele Cavalli, capovolgeva i quadri quando li aveva terminati per vedere la composizione: infatti occorre osservarla come un volume insieme a quello che non e stato determinato ". A suo giudizio, sebbene si possa partire da un idea, da un'ispirazione, da un punto di vista, bisogna comunque fare i conti con lo spazio. Poi lavorare e ritornare sul soggetto: su dieci angeli che ho scolpito, l’undicesimo non è più un angelo ma una forma nello spazio: nel ripetere si finisce per astrarre. Si scava cercando la cosa nascosta dentro il pretesto di un soggetto. Come si spiegano i tanti ‘cavallo e cavaliere’ di Marino?
Dopo aver fatto tante nature morte, ritratti e via dicendo, I dipinti di mio nonno, alla fine dei suoi giorni,mostravano che l'unica cosa che riusciva ancora a dipingere erano delle sfere su un piano, come dire che aveva condensato la forma in queste poche cose e anche dal tono del colore si vedeva che stava stringendo”.

E’ per questa la ragione per cui De Reggi ritiene ancor oggi di essere alle prime armi. "Per quanto mi riguarda la ricerca della figura è solo all'inizio: saranno vent'anni che faccio figure, però tutte le volte mi ritrovo a scoprire altro: dopo aver scolpito tante gambe, braccia, ecc. mi rendo conto che il fare o rifare una mano o un piede è tutte le volte un'altra invenzione. Forse continuando a sorprendermi nel riesplorare un fatto conosciuto troverò il segreto della sintesi, e per questa ragione non abbandono il linguaggio della figura.
Avendo fatta la scelta di guardare all'indietro, a ciò che è stato fatto, cercando di interiorizzarlo, forse iI mio cammino è più lento, la strada per arrivare alla sintesi più lunga. Usare materiali come la pietra mi ricollega al passato, al vissuto dell'uomo come la ricerca dell'armonia che può essere considerata desueta: ma è come affermare che la musica dodecafonica, dissonante quindi, sia il futuro mentre le invenzioni di Bach una specie di prodotto già esperimentato".
"Anche se la scultura suggerisce una certa staticità (la statua si sveglierà un giorno?), non teme il congelamento del suo linguaggio: il gesto di una mano, il palmo aperto, è come una frase non occultata che dichiara l'attesa, il tendere a, l'offerta; la mano, come il volto è una delle grandi macchine d'espressione. Nell'articolazione completa della figura ci sono tanti dettagli, le varie facce dell'espressione: anche un piede alzato è una parola.
Aggiunge commentando le sculture più recenti: "Trovare un pezzo di pietra, guardarlo, cercare di vedere nella materia già un valore espressivo, tagliarla... e fare una finestra . La finestra mi affascina molto come inquadratura, come cornice, come punto di vista: ognuno di noi ricorda una finestra.
Nel lavorare una pietra si pone il problema della sua superficie : Ia pietra reagisce alla luce, per cui scolpendo la in un modo o in un altro si determina la sua rifrazione della luce, facendo dei tagli grezzi si rompe Ia luce, lisciandola si lascia scivolare la luce. Tutto ciò viene chiamato colore. Diverso è Il discorso per il colore delle sculture in bronzo, per le quali si parla di patina . E’ un procedere a una continua sovrapposizione di soluzioni chimiche che variano la loro reazione con il metallo al variare della temperatura: un lavoro lungo e molto personale perché fare una ‘patina’ e non una ‘vernice’ significa far parlare la materia con un velo".
Da quando ha messo a fuoco la "vera natura" della scultura-saranno sei-sette anni - De Reggi si è sobbarcato il fardello della figura, di quel genere che -dice - "ho perseguito quasi religiosamente” e nello stesso tempo ha avvertito la necessità del confronto con lo spazio. Di qui il motivo che lo porta ad affermare: "soffro dello sradicamento dallo spazio, di fare figure che viaggiano senza piedi, che non hanno radici: purtroppo ciò è frutto del mercato dell'arte moderna. Un tempo la scultura era 'destinata' come figura in facciata o scultura monumentale e non è mai stata pensata fuori dello spazio dove andava collocata. Oggi le possibilità di "progettare per" sono molto rare, con l'archItetto si discute un progetto, con lo scultore questo rapporto non c'è più. Gli oggetti sono sempre più piccoli, la scultura è relegata al ruolo di sopramobile: il che significa per l'artista non poter contestualizzare un'opera e pensarla sempre nel vuoto. insomma si ‘riempie lo spazio’con oggetti acquistati e piazzati qua e là: è un non farsi partecipi del sogno... , è il catalogo!". “Inventare una scultura , pensarla in uno spazio mi stimola, mi condiziona positivamente”.
Perciò ritiene che tra le sue esperienze recenti la più autentica sia stata quella avuta con Lorenzo Berni che ha ristrutturato per la Andersen Consulting,quattro piani dell'ex palazzo della Montecatini ,progettato negli anni Trenta da Giò Ponti: giacché in quel caso c è stato un "coinvolgimento completo" che non si è limitato alle sue sculture, ma anche alla scelta dei marmi, ai disegni per tappeti e via dicendo. E questo perché "'la scultura nello spazio mi stimola molto di più".
"la nuova mostra personale,nella galleria Kouros di New York, contempla uno 'sdoppiamento’ tra le figure in bronzo e altre sculture in pietra e ferro . "È un dualismo - dichiara l'artista - che non mi dispiace: credo infatti che ognuno dl noi sia molte cose e che non si debba vergognarsi dl questa molteplicità. La parola "coerente" somiglia a "catalogo" e fa male: sembra alludere a qualcosa che si ordina per posta. Credo che l'arte possa permettersi il lusso di essere contraddittoria anche se non è facile trovare un pubblico che accetti questa filosofia. Anche nei saggi critici sembra sempre che sì debba trovare una radice Rare volte si accetta che ci possono essere più parti di una radice...". Tornando alla mostra, egli precisa: "ci deve essere un ragionamento neIl'artista per la 'lettura' e non soltanto per la 'scrittura'. Ho iniziato a lavorare!e senza voler dare un'unità alla mia produzione. Non sono abbastanza architetto, anzi si potrebbe dire che in questo senso sono un architetto spontaneo: faccio prima la porta, poi vedo cosa c'e' oltre e... Nel mostrare Il lavoro, ovvero nel concepire una mostra, ho sempre cercato la famosa omogeneità, senza indossare un vestito troppo stretto: spero che se un giorno faro una mostra ‘omogenea’, sarà una felice conseguenza e non un progetto . In ogni caso, per uno scultore è fondamentale il fattore tempo. A suo dire, InfattI, "non si finisce mai di completare una cosa. E oggi che tutto si muove con tanta velocità questa lentezza è un problema: vorrei avere sempre più tempo per le mie sculture...".
E ricorda a questo proposito la vicenda esemplare di un contadino giapponese - in realtà un professore parassitologo che studiava in principio i veleni per liberarsi dai parassiti-, autore del saggio intitolato La rivoIuzìone del filo di pagIia . Costui avendo ricevuto in eredità una piccola fattoria e seguendo le sue intuizioni e le nozioni acquisite negli studi, aveva Iniziato a praticare con successo un agricoltura diversificata .
In una conferenza aveva portato alcuni disegni su carta di riso per esplicare la sua filosofia: in uno in particolare era rappresentata una caverna, che simboleggiava la scienza, davanti all’entrata, un uomo cercava di inoltrarsi nell'antro e nel contempo,l’oscurità si faceva sempre più fitta, si allontanava dalla luce del sole. Ebbene, sottolinea De Reggi a conclusione del nostro colloquio, "questo è appunto, ciò che cerco sempre di far ricordare con le mie sculture".

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